Economia di Guerra: come l’inflazione in tempo di guerra ha influenzato la progressività e la redistribuzione delle tasse

Negli ultimi giorni, complice la situazione globale che stiamo vivendo e la vicinanza geografica dalle aree di conflitto, sentiamo sempre più spesso ripetere il termine “economia di guerra”. Ma cos’è e cosa comporterebbe l’assunzione di questo regime nelle nostre quotidianità?

Il premier Draghi ha detto in modo chiaro che non “non siamo ancora in economia di guerra, ma meglio prepararsi”. Ma cosa significa economia di guerra? Quanto è vicina questa ipotesi per l’Italia?

Cos’è l’economia di guerra

Partiamo dai fondamentali, l’economia di guerra è la sospensione o il restringimento molto forte dell’economia di mercato, di fatto sostituita da un’economia pianificata in cui a livello centrale si decide cosa si deve produrre e cosa no.

In concreto questo significa che l’economia nello spazio di mercato si restringe drammaticamente, questo significa che gran parte della capacità produttiva di un Paese viene destinata allo sforzo bellico. Le risorse vengono cioè convogliate per allestire e finanziare la produzione militare. E quando parliamo di risorse intendiamo qualunque tipo di risorse: materie prime, ma anche energia e risorse umane, cioè lavoratori.

Ciò si traduce in una vera e propria riconversione industriale ad ampio spettro: l’economia di mercato viene ristrutturata con un unico scopo: alimentare lo sforzo bellico.

Economia di guerra: il grande livellatore delle società

La guerra è stata considerata “un grande livellatore” delle disparità economiche, e in particolare la Seconda guerra mondiale, che ha lasciato un’eredità duratura di minore disuguaglianza in molti paesi occidentali, tra cui l’Italia. Questo modello, ampiamente documentato nella letteratura finanziaria, è stato attribuito alla distruzione del capitale nonché alla domanda di lavoro, preferenze sociali, regolamentazione economica e tassazione progressiva, così come all’introduzione del welfare state.

Le due guerre hanno portato a notevoli riforme dell’imposta sul reddito in diversi paesi, nonché a una più pesante tassazione sul patrimonio di individui e società. Ci sono stati risultati simili anche in alcuni paesi che sono rimasti neutrali, come la Svezia.

Le tasse progressive non solo sono aumentate vertiginosamente durante le guerre, ma sono rimaste importanti in seguito per il finanziamento dei moderni stati sociali. Le imposte sul reddito sono cambiate da prelievi ridotti sulle famiglie benestanti ai contributi pagati dai cittadini comuni. Quella che era una “tassa di classe”, che gravava sui ceti medio-bassi, divenne una “tassa di massa“.

La tassazione in tempo di guerra è stata pesantemente influenzata non solo dai cambiamenti normativi, ma anche da alti livelli di inflazione. L’inflazione ha abbassato i livelli reali di soglie fiscali esentate, detrazioni e limiti di scaglioni.

Siamo in economia di guerra?

economia di guerra

Per fortuna siamo molto lontani da questo scenario, non facciamoci prendere da inutili allarmismi. Tuttavia, meglio non farsi trovare impreparati, come è successo in questo caso con l’approvvigionamento energetico e il peso fiscale che ha gravato sulle nostre tasse.

Lo shock di una crisi come l’attuale può comunque essere enorme, pur non pregiudicando l’economia di mercato che continua a funzionare. Ma il Paese che subisce questo shock deve comunque mettere in campo misure per adattarsi, come accaduto con il Covid e come accadrebbe per una carestia.

Quali misure occorre mettere in campo

Un punto debole della nostra economia è l’approvvigionamento dell’energia da fonti straniere. In particolare pesa la dipendenza dell’Italia dal gas russo. Occorre dunque diversificare, ma sarà difficile farlo in tempi brevi. Nel frattempo molte fabbriche e servizi saranno costretti a chiusure temporanee per gli alti costi dell’energia e delle materie prime. Sarà allora indispensabile la Cassa integrazione per garantire i lavoratori, ma anche la sussistenza delle imprese. Alla stregua della Cig Covid.

Gli esperti del Ministero dello Sviluppo Economico hanno definito questa condizione “economia delle scorte più che di guerra. “Indotta cioè ad amplificare quanto già si faceva in termini di stoccaggio non solo dell’energia e del gas, ma anche delle materie prime come grano e altro le cui forniture potrebbero in breve entrare in sofferenza. Il tema dello stoccaggio diventerà cruciale e non sarà una cosa semplice perché tutti i Paesi dell’Occidente, in questo momento, stanno facendo scorte” – dicono gli esperti a Palazzo Chigi.

In conclusione

Cosa dobbiamo aspettarci in Italia nelle prossime settimane? In questo momento il nostro Paese, come il resto d’Europa (ma noi siamo più esposti a causa della dipendenza energetica dalla Russia, come la Germania), sta vivendo una fase di stoccaggio, di scorte.

È necessario organizzare e pianificare bene le scorte, di energia, di gas, di materie prime come il grano, per non farsi trovare impreparati se la situazione dovesse peggiorare.

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